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Articles by Kirsten Holmberg

Conoscere meglio

Quando portammo a casa nostro adottivo figlio dal suo Paese oltreoceano, non vedevo l’ora di inondarlo di amore e donargli tutto ciò che gli era mancato nei mesi precedenti; soprattutto cibo di qualità, dato che era sottopeso. Ma nonostante tutti i nostri sforzi e perfino l’aiuto di un nutrizionista, cresceva molto poco. Dopo quasi tre anni, capimmo che aveva una seria intolleranza alimentare. Eliminati determinati cibi dalla sua dieta, iniziò a crescere di 12 centimetri in pochi mesi! Da un lato ero profondamente dispiaciuta per avergli dato per mesi cibi che ostacolavano la sua crescita, dall’altro ero felice perché finalmente la sua salute migliorava.

Qual è il dono migliore?

Di recente mio marito ha festeggiato un compleanno importante, di quelli che finiscono con uno zero. Ho riflettuto a lungo su quale fosse il modo migliore per festeggiarlo in questa occasione speciale. Ho parlato con i nostri figli delle mie tante idee, in modo che mi indirizzassero sulla scelta migliore. Volevo che la festa esprimesse l’idea di inizio di un nuovo decennio, e dimostrargli quanto lui sia prezioso per la nostra famiglia. Ci tenevo che il nostro regalo fosse in tema con l’importante traguardo raggiunto nella sua vita.

Molto più grande

Il mio compleanno è il giorno dopo quello di mia madre. Da adolescente era sempre una sfida pensare ad un regalo che potesse piacerle e che rientrasse nel mio budget. Lei riceveva sempre i miei doni con gioia e apprezzamento; poi il giorno dopo, al mio compleanno, mi consegnava il suo regalo. Puntualmente era molto più grande e prezioso del mio. Non lo faceva certo con l’intenzione di sminuire ciò che le avevo donato: semplicemente attingeva con generosità dalle sue risorse—che superavano di gran lunga le mie.

Abbastanza

Quando chiesero a me e mio marito di ospitare un gruppo di lettura in casa nostra, in un primo momento fui tentata di dire di no. Mi sentivo inadeguata. Non avevamo sedie per tutti; la nostra casa era piccola e non poteva contenere tante persone. Inoltre non ero certa che avessimo i requisiti per moderare una discussione. Mi preoccupava pure l’idea di dover preparare del cibo, abilità per la quale mi mancava sia la passione che le risorse. Avevo la sensazione che non avessimo “abbastanza” per farlo. O meglio, che io non fossi “abbastanza” per farcela. Però avevamo desiderio di donare, sia a Dio che alla comunità, e così nonostante le paure accettammo l’invito. Durante i cinque anni seguenti, accogliere il gruppo nel nostro soggiorno ci portò una grandissima gioia.

Da vuoto a pieno

Un noto libro per bambini racconta la storia di un povero ragazzo di campagna che si tolse il cappello per onorare il re. Un cappello identico comparve all’istante al posto di quello, sulla sua testa, suscitando l’ira del re per una presunta mancanza di rispetto. Bartolomeo continuava a togliersi un cappello dopo l’altro, mentre le guardie lo portavano al palazzo del re perché fosse punito. Ogni volta, però, un altro cappello spuntava sulla sua testa. I cappelli si facevano sempre più vistosi, con gioielli preziosi e piume colorate. Il 500° cappello fece invidia al Re Derwin, il quale perdonò Bartolomeo e comprò il cappello per 500 pezzi d’oro. Alla fine, la testa di Bartolomeo era senza cappello; andò a casa da uomo libero e in più con una somma di denaro sufficiente per mantenere la sua famiglia.

Portalo a Dio

Da ragazzina, mia mamma mi ha insegnato l’utilità di prendere carta e penna e scrivere: quando mi sentivo sopraffatta da sfide troppo grandi o dovevo prendere decisioni importanti, scrivere mi aiutava a rimettere le cose in prospettiva. Se avevo dubbi sulla scelta della scuola, il lavoro che avrei fatto da grande, o ero anche solo spaventata dalle sfide della crescita, imparai da lei l’abitudine di annotare i fatti più importanti, scrivendo al tempo stesso i possibili sviluppi degli eventi. Dopo aver messo su carta i miei pensieri, riuscivo a fare un passo indietro e guardare tutto con più obiettività, meno condizionata dalle emozioni.

Cercare sinceramente

Ogni sabato, la nostra famiglia aspetta vicino alla linea d’arrivo del percorso di corsa campestre, impazienti di veder arrivare nostra figlia che gareggia insieme alla squadra della scuola. Dopo aver finito la gara, gli atleti esultano e cercano i propri compagni, allenatori e genitori per abbracciarli dalla gioia. Parecchia gente si riversa all’arrivo—spesso più di 300 persone—rendendo difficile ritrovare, tra tutti, la persona che cerchi. Anche noi scrutiamo con attenzione la folla, cercando con gli occhi la sola atleta che siamo venuti a vedere e abbracciare: la nostra amata figlia.

Fuori dalle grandi acque

Scrutavo l’acqua intensamente, pronta a cogliere ogni segno di pericolo. Durante i turni di sei ore come bagnino di salvataggio, osservavo dal lato della piscina per assicurarmi che i bagnanti non avessero problemi. Lasciare la mia postazione, o anche solo distrarmi, avrebbe comportato un rischio per chi era nell’acqua. Se qualcuno si trovava in difficoltà, magari per un malore o perché nuotatore inesperto, era mia responsabilità tirarlo fuori dall’acqua e riportarlo al sicuro a bordo piscina.

Muoversi per primi

Con pazienza, cercavamo di aiutare nostro figlio ad ambientarsi alla sua nuova vita con la nostra famiglia. Gli anni traumatici passati in orfanatrofio erano la ragione di alcuni suoi comportamenti molto negativi. Se da un lato provavo grande compassione per quello che aveva vissuto nei suoi primi anni di vita, dall’altro quel comportamento mi portava istintivamente ad allontanarmi da lui e da quel dolore. Piena di vergogna per i miei sentimenti, ne parlai con la mia consulente. La sua risposta gentile arrivò a segno: “Lui ha bisogno che vi muoviate voi per primi . . . Dimostrategli che è degno del vostro amore: solo così sarà in grado di fare la stessa cosa”.