Abbastanza
Quando chiesero a me e mio marito di ospitare un gruppo di lettura in casa nostra, in un primo momento fui tentata di dire di no. Mi sentivo inadeguata. Non avevamo sedie per tutti; la nostra casa era piccola e non poteva contenere tante persone. Inoltre non ero certa che avessimo i requisiti per moderare una discussione. Mi preoccupava pure l’idea di dover preparare del cibo, abilità per la quale mi mancava sia la passione che le risorse. Avevo la sensazione che non avessimo “abbastanza” per farlo. O meglio, che io non fossi “abbastanza” per farcela. Però avevamo desiderio di donare, sia a Dio che alla comunità, e così nonostante le paure accettammo l’invito. Durante i cinque anni seguenti, accogliere il gruppo nel nostro soggiorno ci portò una grandissima gioia.
Da vuoto a pieno
Un noto libro per bambini racconta la storia di un povero ragazzo di campagna che si tolse il cappello per onorare il re. Un cappello identico comparve all’istante al posto di quello, sulla sua testa, suscitando l’ira del re per una presunta mancanza di rispetto. Bartolomeo continuava a togliersi un cappello dopo l’altro, mentre le guardie lo portavano al palazzo del re perché fosse punito. Ogni volta, però, un altro cappello spuntava sulla sua testa. I cappelli si facevano sempre più vistosi, con gioielli preziosi e piume colorate. Il 500° cappello fece invidia al Re Derwin, il quale perdonò Bartolomeo e comprò il cappello per 500 pezzi d’oro. Alla fine, la testa di Bartolomeo era senza cappello; andò a casa da uomo libero e in più con una somma di denaro sufficiente per mantenere la sua famiglia.
Portalo a Dio
Da ragazzina, mia mamma mi ha insegnato l’utilità di prendere carta e penna e scrivere: quando mi sentivo sopraffatta da sfide troppo grandi o dovevo prendere decisioni importanti, scrivere mi aiutava a rimettere le cose in prospettiva. Se avevo dubbi sulla scelta della scuola, il lavoro che avrei fatto da grande, o ero anche solo spaventata dalle sfide della crescita, imparai da lei l’abitudine di annotare i fatti più importanti, scrivendo al tempo stesso i possibili sviluppi degli eventi. Dopo aver messo su carta i miei pensieri, riuscivo a fare un passo indietro e guardare tutto con più obiettività, meno condizionata dalle emozioni.
Cercare sinceramente
Ogni sabato, la nostra famiglia aspetta vicino alla linea d’arrivo del percorso di corsa campestre, impazienti di veder arrivare nostra figlia che gareggia insieme alla squadra della scuola. Dopo aver finito la gara, gli atleti esultano e cercano i propri compagni, allenatori e genitori per abbracciarli dalla gioia. Parecchia gente si riversa all’arrivo—spesso più di 300 persone—rendendo difficile ritrovare, tra tutti, la persona che cerchi. Anche noi scrutiamo con attenzione la folla, cercando con gli occhi la sola atleta che siamo venuti a vedere e abbracciare: la nostra amata figlia.
Fuori dalle grandi acque
Scrutavo l’acqua intensamente, pronta a cogliere ogni segno di pericolo. Durante i turni di sei ore come bagnino di salvataggio, osservavo dal lato della piscina per assicurarmi che i bagnanti non avessero problemi. Lasciare la mia postazione, o anche solo distrarmi, avrebbe comportato un rischio per chi era nell’acqua. Se qualcuno si trovava in difficoltà, magari per un malore o perché nuotatore inesperto, era mia responsabilità tirarlo fuori dall’acqua e riportarlo al sicuro a bordo piscina.
Muoversi per primi
Con pazienza, cercavamo di aiutare nostro figlio ad ambientarsi alla sua nuova vita con la nostra famiglia. Gli anni traumatici passati in orfanatrofio erano la ragione di alcuni suoi comportamenti molto negativi. Se da un lato provavo grande compassione per quello che aveva vissuto nei suoi primi anni di vita, dall’altro quel comportamento mi portava istintivamente ad allontanarmi da lui e da quel dolore. Piena di vergogna per i miei sentimenti, ne parlai con la mia consulente. La sua risposta gentile arrivò a segno: “Lui ha bisogno che vi muoviate voi per primi . . . Dimostrategli che è degno del vostro amore: solo così sarà in grado di fare la stessa cosa”.
Table Rock
Sul Table Rock, un altopiano roccioso che sovrasta il mio paese, c’è una grande croce illuminata. Intorno ad essa, negli anni, sono state costruite diverse case; di recente però sono state sgomberate per motivi di sicurezza. Nonostante la loro vicinanza alla roccia, queste case non sono sicure. Infatti si stanno spostando di quasi sette centimetri al giorno rispetto alle fondamenta: se si rompessero anche le tubature dell’acqua, il rischio di frane aumenterebbe pericolosamente.
Sentieri non illuminati
Viaggiando verso casa dopo una vacanza in famiglia, percorremmo una zona desolata dell’Oregon centrale. Per quasi due ore dopo il tramonto attraversammo profondi canyon e altipiani deserti. Raramente qualche lampione illuminava un tratto di strada. Alla fine, la luna sorse all’orizzonte. Riuscivamo a vederla quando la macchina attraversava un altopiano, restavamo al buio quando ci trovavamo in un canyon. Mia figlia commentò che la luce della luna le ricordava la presenza di Dio. Le chiesi se sentiva il bisogno di vederla per sapere che Lui fosse lì. Mi rispose: “No, però aiuta”.
Lasciar andare
Per il nostro anniversario, mio marito ha affittato un tandem (una bici a due posti) per condividere una piccola avventura romantica insieme. Mentre pedalavamo lungo un sentiero, mi resi conto che la persona seduta dietro – io – non vedeva nulla, tranne la schiena di quella davanti. Inoltre il mio manubrio era rigido, non potevo cambiare la direzione della guida. Solo quello del guidatore determinava il movimento delle ruote; il mio serviva unicamente per sostenere il peso del corpo. Avevo due possibilità: o sentirmi frustrata per la mancanza di controllo, o godermi l’avventura fidandomi della guida sicura di Mike.